08 novembre 2012

Le Pape


Nei giorni di luna piena di ottobre ho conosciuto padre Patrizio, l’anziano sacerdote bergamasco della comunità montana della Garnacha, vicino ad Estelì, nel nord del Nicaragua. La sua storia é affascinante: 18 anni fa si trasferí in quel minuscolo villaggio per sostituire il vecchio parroco di San Nicolás, dopo aver vissuto i 20 anni precedenti a New York, prima ad aiutare gli eroinomani e gli alcolizzati del Bronx, poi ad occuparsi dei bagni pubblici dei quartieri “difficili”, che a suo dire venivano lasciati in delle condizioni davvero spaventose. La cosa più difficile, scherza, non era avere un rapporto con quelle persone così “piene di agressività”, ma rendere quei cessi agibili...

Appena sa che sono italiano mi offre un caffè, coltivato a pochi chilometri di distanza e preparato in una moka italiana.  Comincia a raccontare, in un italiano meticcio, che aveva deciso di trasferirsi, senza alcun indugio, appena aveva saputo che c'erano persone che stavano affrontando una guerra civile, in Nicaragua. C’era chi aveva bisogno di parlare di qualunque altra cosa non fosse guerra e morte. Era giunto alla Garnacha e si era subito sentito a casa. Alla mia ingenua domanda “come ha ricominciato da capo in un piccolo paesino sperduto dopo tutto quel tempo in una grande città”, mi risponde, regalandomi uno dei suoi pochi sguardi, profondi ed ironici, che per lui non vi era mai stato un “ricominciare da capo”, ma che tutto era ed é un cambiamento continuo. Che a lui l'unica cosa che interessa sono le persone, nient'altro. Non gli interessa nemmeno se queste persone credono in Dio o no: infatti “se qualcuno vuole parlare di Dio con me, ben volentieri, sennò non c'è bisogno di affrontare l'argomento”.

Mi chiede di me, gli rispondo che sono un volontario patologico, geologo di formazione e che mi occupo di acqua del sottosuolo. A queste ultime parole si illumina e mi regala una perla: la metodologia del rabdomante. Difficile da credere, ma dice di aver trovato tutti i pozzi del villaggio con un fil di ferro e delle domande ben poste. “vuoi vedere come faccio?”. E come no!
Sparisce.
Vado fuori, all'aperto, ai 1300 metri, dove il sole abbaglia senza soffocare. Il cielo è azzurro, e padre Patrizio torna con il suo fil di ferro. Ne afferra le estremità con i pugni, che appoggia sui fianchi. Si concentra perché “ci vogliono energie sufficienti a capire la Terra”. Comincia a spiegarmi che l'importante è fare le domande giuste, per esempio “c'è acqua buona qui sotto?” o “qual è il punto dove c'è più acqua?”. Il filo comincia a vibrare e girare su se stesso, nella direzione in cui, secondo i principi di questa rabdomanzia, è ubicata la sorgente d'acqua.

L’enfasi sta tutta nella domanda. La domanda giusta. Il fil di ferro é solo uno strumento, un veicolo, del dialogo uomo-natura. L’acqua trova il modo, chissá, forse attraverso le sue proprietá fisiche, conduttive, magnetiche, cristalline, sconosciute, di comunicare la propria presenza. E noi siamo fatti d’acqua. Bisognerebbe reimparare ad usarsi per ascoltarsi.

Paziente Tiraboschi sembra aver ritrovato questa dualitá con la Terra. Dio, a me, sembra solo il terzo incomodo. Ora non aspetta altro che rinunciare al suo incarico di parroco e ritirarsi in una casetta nella vicina foresta di pini, cosi’ poco tropicale ma cosi’ simile ai suoi luoghi d’infanzia.

Devo andare, vorrei dirgli che é grazie ad incontri come questi che amo viaggiare. E’ grazie alle persone come lui che la speranza é sempre l’ultima a morire. E’ dalle persone cosí che accetto insegnamenti... e dalle persone che amo.  Invece mi esce solo un commosso E’ stato un piacere, Adiós.



Le Pape - Arcano Maggiore V


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