4 giorni di fuoco alla Tekove Katu. 150 ragazzi e ragazze,
di cui un terzo ne conoscevo già dall’anno scorso, quando siamo venuti con
Stefania per un mese a piantare alberi da frutto, piante medicinali e a fare
dei corsi su educazione ambientale e medicine tradizionali. Già arrivare e
vedere ogni singolo studente che viene a salutarti e a darti la mano – anche se
io rispondevo con un abbraccio, ma non sarebbe abitudine – è stato un inizio
che non poteva non dare un’incredibile carica.
Insegnare qui non è solo trasmettere informazioni e
passione, ma vuol dire far parte di un progetto davvero grande, quello della
rivoluzione sociale indigena, cominciata più di 30 anni fa con la creazione del
piano PISET (Produzione, Infrastrutture, Salute, Educazione e Terra e
Territorio), attraverso il quale le varie assemblee indigene, riunite nella APG
(Asemblea del Pueblo Guaranì) prendevano coscienza della necessità di custodire
questi 5 pilastri per uscire dalla situazione disperata in cui si trovavano
come minoranza etnica.
Oggi una parte di questa consapevolezza si è persa, molti
giovani vengono alla scuola, che è completamente gratuita, per uscirne come tecnici, dopo 4 anni, ed avere
maggiori possibilità lavorative. Ma molti invece comprendono l’importanza della
scuola e del loro ruolo nella società,
grazie al costante lavoro dei docenti, principalmente volontari, che 6 mesi l’anno
portano avanti la formazioni nei temi della Salute Ambientale, Infermeria,
Nutrizionismo e Operatore Sociale Comunitario.
Tornando a questi giorni, ho cercato di vivere ogni ora in
cui ero alla scuola per trasmettere – e imparare! – qualcosa che potesse essere
davvero utile. Per questo mi sono concentrato meno sulle lezioni frontali
teoriche – come avevamo fatto l’anno scorso – ma ho subito chiesto a tutti di
organizzarsi e autogestirsi per occuparsi del
mantenimento di 8 zone della scuola (che si estende per qualche ettaro). Dopo
aver percorso in lungo e in largo il terreno della scuola, abbiamo identificato
le cose più urgenti da sistemare e quelle per le quali invece ci sarà bisogno
di più tempo e di risorse economiche. Dalla pulizia delle infestanti, al
riciclo delle centinaia di bottiglie di plastica e vetro, alla riorganizzazione
dell’ingresso, fino a un vero e proprio piano di raccolta acqua, dove i ragazzi
hanno calcolato di quanti serbatoi avrebbero bisogno per assicurare l’acqua nell’epoca
secca.
Il tutto con molte risate, musica (in cui anch’io mi sono
esibito cantando De André e Bella Ciao, non senza inevitabili scherni), cultura
(abbiamo visto Ciudad de Dios e Tambien la Lluvia) e commozione, soprattutto l’ultima
sera in cui mi hanno espresso la loro gratitudine. Per non parlare del tempo
passato con Tarcisio, Francesco e tutto l’entourage, con cui ogni volta ci
confrontiamo sulle metodologie pedagogiche e sulle possibili strategie di
rimodernamento della scuola, facendo attenzione però a conservare il suo sabor guaranì.
Mi sento fortunato ad essere parte di tutto ciò, e ve lo
scrivo proprio per questo, per convincere a farne parte: continui stimoli
accendono il cuore e la mente, mentre lo spirito si arricchisce grazie alla presenza
di tante persone non ancora corrotte e perciò si riposa, in un ambiente più congeniale a
lui/lei, dove il tempo non è denaro. I problemi ci sono, e sono tanti, ma
stupisce la tranquillità con cui questi 150 giovani si adattano a una
situazione che spesso può risultare scomoda, come la mancanza dell’acqua
corrente – che obbliga tutto ad andare al pozzo ogni sera a prendersi il
proprio mezzo secchio per lavarsi – all’alimentazione, povera e monotona.
Ma ciò che stupisce più di ogni altra cosa è la loro
capacità di gestirsi e organizzarsi. In questi giorni non c‘era nessuno a
dirgli cosa fare e come farlo, ma quelli del terzo anno avevano così abilmente
trasmesso la disciplina (non in senso militare) che ogni mattina alle 7.30
tutti e 150 erano in classe per la lettura collettiva delle notizie della
mattina, per i canti e per cominciare la
lezione puntuali. Un doppio rintocco di “campana” (un pezzo di ferro appeso a
un palo di legno) avvisa che è l’ora di riunirsi per decidere qualcosa, e i
vari comitati (pulizia, manutenzione, piante, studio, salute, ecc) aggiorna tutti gli altri sulle novità,
ogni lunedì mattina.
Non esistono gerarchie, salvo nel ruolo del mburuvicha, il “capo”,
che viene scelto tra i ragazzi ogni 3 mesi, e che si occuperà di fare da
referente principale per ogni questione ordinaria e straordinaria.
Infine, l’interculturalità: sono molte le etnie boliviane
qui rappresentate, e per imparare a conoscersi ogni sabato gli studenti
organizzano el Sabado Cultural, dove ogni gruppo etnico si esibisce in balli e canzoni tipiche della loro regione. Una festa, fondamentale per conoscersi e crescere,
che li avvicina sempre di più gli uni agli altri, riempiendo di meraviglia e
biodiversità l’aula magna della Tekove Katu.
In sintesi, ho fatto
di nuovo esperienza di quei tre principi cardine che si auspicano in una
società armonica: la Condivisione, l’Autogestione e l’Interculturalità. Quello
che ancora manca, e su cui lavoriamo poco a poco ogni anno, è la sistemazione
degli altri aspetti fondamentali: Frequenza delle lezioni, Igiene,
Autoproduzione alimentare e Autosufficienza idrica.
Poi Utopia diventa Realtà.
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