31 dicembre 2013

Un viaggio nelle miniere di Potosì - riflessioni


...ese medio de las minas, donde, abandonado por todas las justicias, el obrero … “rarísima vez llega a la viejez; pues muere, o por accidente del trabajo, o por agotamiento gradual producido por el mismo”, y sin conocer grandes alegrías ni acariciar deleitosos ensueños.

Bolivia. En la tierras de Potosi. Da Jaime Mendoza a Eduardo Galeano, due scrittori che, a distanza di quasi un secolo, raccontano il saccheggio delle risorse dell'America Latina, spinti dall'esigenza di informarci sull'origine delle cose che ci circondano, umide del sudore di quel Popolo dell'Abisso - come definisce Jack London el pueblo dei lavoratori sfruttati - a cui da tanto fastidio pensare.

Oggi finalmente cominciamo ad interessarci alla provenienza dei pomodori che compriamo, perché sappiamo che essa è fondamentale dal punto di vista della salute, trasparenza e, perché no, dell'etica. In egual misura ci interessiamo della carne, formaggi, ecc..preferiamo mangiare un buon maialetto sardo nato, vissuto e morto relativamente libero in una fattoria, invece di un simil-essere vivente prodotto in serie in fabbrica e imbottito di medicinali. Quello che voglio dire è che conoscere l'origine delle cose cambia anche il nostro livello di consapevolezza, rendendoci più sani e un po' meno ignoranti. Allo stesso modo le batterie, i motori, le lattine di birra sono sì il prodotto di una trasformazione nelle fabbriche metallurgiche, ma lo stagno, l'argento, l'alluminio, e tutte le materie prime usate per costruire il nostro mondo sono il risultato di milioni di scintille sotterranee, genesi di fuochi inespressi, dei pazienti, artistici e devoti minatori di Potosì.

Un tempo famosa e ricca città dell'Alto Perù, fondata dai coloni nel 1546 a 4000 metri d'altezza, alle soglie orientali dell'altipiano andino boliviano, in mezzo alle più ricche montagne del continente, è ora una città dolente, che lascia solo intravedere dai fregi delle facciate il suo antico sfarzo.
Colorata, decadente, culturale, Potosì mi ha catturato e turbato. Tre giorni per osservare, assaporare, indagare e, soprattutto, perdermi nell'oscurità delle sue miniere.

Cerro Rico (la montagna ricca): un nome che dice già tutto. Circa 50 km di tunnel opprimenti, angusti e bui, disposti su più livelli. Un gruviera rosicchiato da circa 300 anni. La mia guida, El Lobo, è stato minatore per 5 anni, poi grazie agli aiuti della famiglia ha intrapreso la “carriera” di guida turistica ed eccolo lì, ad illuminarmi ed indicarmi la strada verso le profondità della terra, una specie di Virgilio, basso – vantaggio per un minatore - tarchiato, scuro, con gli occhi ancor più scuri, tristi, un po' spenti. Ten cuidado, fai attenzione, mi ripete in continuazione per evitare che io sbatta la testa contro gli spigoli rocciosi. Meno male ho il casco.

Fa caldo, l'aria è rarefatta, l'arsenico brucia in gola e nel naso, l'odore dello zolfo si fa via via più intenso man mano che ci addentriamo, per diverse centinaia di metri, seguendo il binario, fino ad un primo svincolo. Primero hay que hacer una ofrenda al tio de la mina, per prima cosa bisogna fare un'offerta allo “zio” della miniera: il Tio della mina è la divinità delle miniere, compagno di Pachamama (la madre terra). E' raffigurato come un minatore con le corna e la coda da diavolo, è lo spirito delle profondità terrestri che protegge i minatori. Là sotto non è cosa da Dio celeste, ma da Tio (theus, Dio), infernale. Con quel caldo e quella miseria solo una divinità infraterrena può sopravvivere, “ed è meglio che ce lo ingraziamo, non si sa mai..”. Il Tio è cosparso di foglie di coca e altri generi alimentari. Attorno tracce di bottiglie e buste di plastica, segni di festa. I minatori, ogni venerdì, si riuniscono attorno al Tio, gli infilano una sigaretta in bocca e scolano una bottiglia di alcol puro, terza causa di morte nelle miniere - prima c'è la silicosi, poi i crolli.

El Lobo mi invita a sedermi, rilassarmi - non facile, visto lo condizioni avverse e l'angusto pertugio lungo il quale mi ero dovuto trascinare per giungere al cospetto di tale divinità – accende la sigaretta al Tio e comincia a parlare, un po' con le parole ma soprattutto con gli occhi:

"Il Tio ci protegge, qui non c'è niente, solo solitudine. Le condizioni di lavoro sono le stesse di due secoli fa, non c'è una gran tutela. Almeno adesso la metà delle miniere appartiene alle cooperative dei minatori. Il lavoratore viene pagato a cottimo su quanto e che tipo di minerale estrae, decide quanto e quando lavorare, non c'è sfruttamento. Chi ha fortuna e lavora di più guadagna, sennò fa la fame. La paga è buona, se trovi le vene giuste, fino a 5000 boliviani al mese, cioè 500 euro (3-4 volte più del salario medio). Molti giovani lasciano gli studi o non li intraprendono nemmeno perché attirati dal “fare soldi”, poi però non li sanno amministrare ed in meno che non si dica sono passati 20 anni, il giovane non ha mai pagato le tasse alla cooperativa per avere l'assicurazione medica e quando decide e riesce ad uscire di lì è troppo tardi. Agotado nel fegato, nel cervello, o nei polmoni. 20 anni a identificare il tuo angolino di miniera, trapanare, inserire la dinamite, accendere la miccia, allontanarsi, spaccare il grosso masso che si stacca dalla parete, caricare il tutto nel carrello, portare fuori tutto, scaricare. Nelle pause, ti togli in casco, la maglietta, mastichi coca, meccanicamente, guardi davanti a te, in un punto infinito al di là della speranza, aspetti che qualche turista di turno ti regali una bottiglia di refresco, d'alcol, un altro sacchetto di coca."
Fuori i blocchi di roccia vengono sminuzzati, macinati, fluidificati, versati in delle vasche dove dei composti chimici permettono ai metalli pesanti di depositarsi nel fondo mentre tutto il resto galleggia. Poi il metallo viene separato, seccato ed infine esportato in quei paesi che fanno la rivoluzione industriale e trasformano quell'oro grigio in capitale. Diabolicamente semplice. Da Tio.

Gli chiedo mille cose, lui ne risponde altrettante; solo la debole luce di uno dei caschi pemette di mettere a fuoco gli sguardi:

“Sì, le cooperative sono meglio delle imprese private gringas, o canadesi, ma sono comunque pedine, peones. Le miniere sono poteri forti, anche le cooperative dietro hanno privati che vogliono il massimo profitto con il minimo investimento, soprattutto se si tratta di organizzare corsi di perfezionamento sull'uso della dinamite, o sulle misure di sicurezza.. Nada. È tutto come 200 anni fa...
Sì, la pensione è a 54 anni, pero quien llega? L'aspettativa di vita è di 40 anni.
Sì, devi distenderti sennò da questo pertugio non ci passiamo. 
Claro, la maggior parte dell'argento dei gioielli viene da qua.
No, non mi perdo mai. Conosco a memoria tutto qua sotto. Sono le mie tasche.
Sì, las cholitas entrano a dare un po' di sollievo e divertimento a estos muchachos."

Parliamo e camminiamo, sempre verso il punto più buio. Solo le luci delle nostre torce. Cerco di conversare con lui come un amico, o compagno, ma come oso sentirmi parte di tutto quello? In effetti sono l'ultimo anello della catena, l'utente finale, il cieco consumatore.

La verità è che vorrei non essere l'ennesimo turista che va li sotto per 2 ore e poi racconta chissà cosa, chissà quali sofferenze. Per me sono stati duri quei 120 minuti, e mi sento un debole a non riuscire nemmeno a pensare a cosa produrrebbero in me 20 anni della mia vita là sotto.
La verità è che per quanto io cerchi di fare domande “intelligenti”, sarò sempre Un turista, un soldo che passa e viene lasciato, un beneficiario di quel lavoro, un afortunado.
La verità è che non so se è più grande in me la perplessità da visitatore in uno zoo o la necessità di testimoniare quella realtà, anche se per poco, sfiorata. 

La verità è che qualunque siano le ragioni dietro al mio indagare, quando sono arrivato all'uscita, con le parole di De Andrè Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti che mi riecheggiavano in testa, ho tirato un sospiro di sollievo. E quindi uscimmo a riveder le stelle.

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