27 gennaio 2014

La mia Mente Anima - un gioco

Ti descriverò Lei.
La mia mente.

Che è mente-anima, Jivatman, Psiché.


Ci provo, per quanto possibile..

C'è chi se la figura come una casa. In questo caso mi limiterei a parlare dei dettagli e mi sentirei oltremodo chiuso tra 4 mura. Inoltre non mi sentirei a mio agio a descrivere la mente, che è umana, utilizzando gli stessi strumenti, che sono antropici, con cui viene costruita una casa. Anche se lo facessi credo che arriverei alla finestra e comincerei a guardare fuori e a descrivere ciò che c'è tutto intorno, perché la limitazione, categorizzazione, il confinamento, l'ordine rigido e qualunque linea di frontiera mi hanno sempre alimentato una potente e annichilente claustrofobia. Inoltre di case ne ho tante, quindi descriverne una in continuo mutamento sarebbe ridondante.

Sceglierò quindi qualcosa di naturale, vasto, dove ci sia abbastanza tempo e spazio per descriverne gli odori, i suoni, i colori e la forma. Sono convinto che la stessa mente sia un ennesimo organo di senso, quello che li combina tutti, mettendoci qualcosa in più. Come l'orecchio percepisce rumori ed il naso gli odori, la mente percepisce, elabora e trasforma i pensieri.. etichettandoli. Quindi non è sbagliato – cosa sarebbe sbagliato nel descrivere la propria mente? - parlare dell'”odore della mente”, “il colore della mente”, ecc.

Non potrei fare questo “esercizio” se non avessi visto come si organizza Lei, la mia psiche, durante la meditazione, tanti giorni senza parlare, ad osservare quello che succede tra i due orecchi, dove gli occhi non possono guardare. In quel caso, infatti, tutti i pensieri più superficiali, volubili e passeggeri lentamente si acquietano lasciando spazio a quelli radicati che emergono dal profondo, carichi di emozioni, sentimenti e “nodi” originati dalla rielaborazione delle esperienze passate. Dopo tante ore di meditazione, si riesce ad osservare come i pensieri giungono nella mente, la direzione di provenienza, e tante volte anche la causa. Può essere un dolore ricorrente in un punto del corpo che genera o che è generato da un pensiero ricorrente nella mente (psicosomatica?), oppure un suono, o un odore, ecc. Si riesce così a mettere a fuoco, guardando la psiche un po' più “dall'esterno”, la struttura con cui i pensieri si connettono, susseguono o scalzano tra loro.

Cercherò comunque di farti vivere qualcosa che è soltanto dentro di me.

Ci sono due paesaggi, due ambienti, due macrocosmi, che si alternano, stagionalmente, in me. Non parlo di bipolarismi o schizofrenia, anche se qualcuno potrà dirti che sì, qualcosa di schizzato ce l'ho.
Parlo di equilibrio dinamico.
Lo definisco come quello stato di continua transizione da una condizione ad un'altra, per molti aspetti opposte, che trova la sua ragion d'essere e, quindi, il suo equilibrio, proprio nel suddetto movimento. Per gli Aymara, popolazione indigena delle Ande, ogni cosa per essere compresa a fondo deve essere “scissa” nei suoi due estremi. In questo modo, creando due poli laddove c'era solo un punto, si genera una linea tra essi che contiene molte più informazioni di quante ne avesse il solo punto. Secondo la loro cosmovisione osservare qualcosa conoscendone i due aspetti opposti (Assioma della dualità di Withcomb: qualunque concetto o forza può essere divisa in due concetti o forze totalmente opposte, contenendo una l'essenza dell'altra) vuol dire conoscerne il Tutto, l'Essenza. Anche noi, a modo nostro, avalliamo tale ragionamento. D'altronde Dio senza Diavolo lo comprenderemmo? Le due facce della medaglia non sono un modo per saperne di più di una determinato argomento? Ying e Yiang vanno a braccetto nel Tao e la copulazione non è altro che l'unione di due sessi opposti. La mia natura psichica, e di conseguenza anche quella fisica, è quindi continuamente in transizione tra due condizioni, psichicamente conciliabili dentro di me: una intensa, rapida, sociale, impulsiva, caotica, jazz, esplosiva, vitale, eccitata, “schizzata” ed egocentrica (il puer), l'altra solitaria, meditabonda, spirituale, magica, oziosa, minimalista, introspettiva, tollerante, diplomatica (il senex). Tra questi due poli ci sono Io.

Certo, tutti possediamo queste due essenze. Solo che molti di noi ne vogliono scegliere una sacrificando l'altra. La condivisione delle due è vista come “pericolosa”. Non sono convinto che si debba necessariamente scegliere una strada, una persona per tutta la vita, un lavoro, UNA vita. Potrai soffocare il bambino quanto vuoi, ma lui continuerà a gridare sempre più forte, fin quando anche il vecchio sarà sordo. Altrimenti potrai uccidere il vecchio e restare bambino per sempre, ma così facendo otterrai solo che la mente saggia diventi un'ombra che non ti lascerà mai vivere liberamente.

I due insiemi hanno in comune alcune cose: principalmente la continua ricerca dell'ignoto, la curiosità, la necessità di sentirsi in perenne mutamento, la paura della stasi, della monotonia e, scusa la ridondanza, della ripetitività. Da una parte questo comporta il mio volermi sempre mettere in gioco su vari fronti, quindi tanti lavori, tante esperienze, tante discipline, tante variazioni sul tema, tante amicizie – anche intese come specchi in cui osservare sfumature differenti della mia personalità – tanti viaggi e, certo, tante discussioni. Sempre però col fine ultimo di illuminare certi angoli bui della mia mente, e non di arrivare a sapere Tutto.

Passando alla descrizione, che poi è il vero gioco, dovresti immaginarti una prateria erbosa, ondulata, infinita. Giorno e notte, alba e tramonto si alternano in modo irregolare. In questa prateria corre un bambino. L'aria è ricca di ossigeno, profuma di erbe aromatiche, spezie, incensi, cibi e circo. Il vento spira a volte a favore a volte contro ma non perde mai quell'odore caratteristico di libertà e autodeterminazione. Fuochi, di qua e di là, sparsi, attorno ai quali si raggruppano gli Altri. Alcuni fuochi illuminano di più, altri meno, le persone attorno che stanno sedute o ballando, in piedi parlando o in silenzio, meditando. E' pieno d'acqua. Ognuna di queste persone è una sorgente. Migliaia sono i fiumi, e ogni fiume corrisponde a colui o colei che lo genera, amico o nemico, conoscente o ignoto. Fatto sta che lì, nella prateria, ho già solcato i letti dei fiumi di chi ancora non ho incontrato. I fiumi confluiscono uno nell'altro, a volte in delle lagune oscurate dalle mangrovie, altre volte in labirintici delta tropicali. Tutti scorrono verso l'alto secondo moti spiraliformi per confluire in un oceano che è quello che sta lassù, nell'inconscio infinito e collettivo. Altrettanto profonde e spiraliformi sono le cascate che, da quel vasto inconscio, scrosciano sulla superficie della prateria, portando con sé ricordi, archetipi e sogni.

Accanto al bambino c'è sempre un anziano. Non si sa come riescono sempre a stare uno accanto all'altro, nonostante il primo corra in continuazione ed il secondo sia acciaccato, quindi lento. Forse il bambino gli gira attorno? La prateria cambia colore, è arida e giallastra, silenziosa e ondulata, piena di alberi africani e di oasi,  dune e laghi salati, quando mi trovo nel polo del vecchio “Eremita”; verde e fiorita, con chiazze tropicali e tanti suoni e chiacchiericci quando sono il bambino ballerino “Sole”. Sullo sfondo si possono osservare le vette bianche insormontabili dei miei fari andini, tranne quando le nuvole sono così spesse che nemmeno le mete più astratte sono visibili.

La varietà di piante è infinita. Il bambino smette di correre solo per fermarsi ad osservare una di queste piante, magari appena germogliata: si sofferma, la guarda da vicino, aspetta di vedere se fiorisce, com'è il fiore? Che odore ha?il sapore? Il colore? E che nome avrà? E perché? E se fosse un incrocio con quegli altri fiori che ho visto ieri? Ma ieri non esiste, tranne nei ricordi e nelle sensazioni residue, alcune delle quali galleggianti nell'oceanico inconscio. Ieri è domani, in questa mente. Il tempo è circolare, quindi il bambino può dire senza troppo scompenso emotivo: “ieri tornerò in Italia”. Ogni pianta è un pensiero, una nozione, un oggetto mentale. Così sono percepiti i pensieri nella mia psiche: entità vive in continua trasformazione e crescita, a seconda di quanto le irrori e le osservi.

Riprende a correre, il bambino, a piedi scalzi, nudo, finché non si tuffa in uno di quei fiumi, laghi, oasi, mari... E di ogni fiume ne vuole conoscere la freschezza, o calore; la turbolenza o la calma piatta; la superficialità o la profondità. Non bastano gli occhi, il bambino vuole gli sguardi. Niente parole, solo risate. Al posto delle mani, le note. Basta labbra, solo baci.
Il bambino vuole la musica. Così, in un' improvvisazione jazz o latina, nessun fiume viene saltato, né con una corda, benché meno con un ponte. Nessuno. Potrà essere anche un'acqua torbida e, a prima vista, ricca di insidie. Il bambino vi si immergerà, magari con più riguardo e precauzione, ma non potrà fare a meno di cercare di conoscere le sue possibili sfumature di azzurro, blu, grigio o giallo.. ma soprattutto, perché è così torbido? Perché è così diverso? In questa rappresentazione teatrale qual è la mia mente, dove gli attori sfilano e interagiscono cambiando ogni istante maschera e anima, forma e sostanza, il bambino allegro, incosciente e spensierato consegna al vecchio eremita le icone ignote, i pacchi regalo ed i simboli che non si permette di decodificare, scartare o assimilare. Tocca allora a questo saggio, lento e osservatore, fare pochi passi, sedersi su un masso granitico, chiudere gli occhi, e capire cose succede tutto attorno. Odori di ginepro e mirto, di legni antichi e libri. Sapore acquatico di cactus, suono di foglie mosse da un vento caldo e secco che porta con sé le note di un notturno di Chopin. Toccando con i ruvidi polpastrelli l'oggetto mentale interessato, ne descriverà gli spigoli, ne liscerà i contorni, lo ribalterà quando lo riterrà necessario. Niente rimane per sempre. Anche un'idea può cambiare, ma non troppo spesso, sennò sembra una giustificazione al vivere senza opinioni.

Invece questa prateria possiede una direzione. Verso il profondo, che è lassù tra quelle vette così vicine al cielo. Profondo Mio, di chiunque altro sia dentro di me e di chiunque altro sia anfitrione.

Immaginati un mondo dove tutto venga scoperto e osservato da 4 occhi, due di inesperto e due di saggio. Saggio e stupido convivono ed osservano, spinti a correre, o a riposare, dal loro Daemon: la curiosità. Curiosità di vedere cosa c'è in cima alla montagna. Montagna che simboleggia lo sviluppo e la scoperta, materiale quanto spirituale, di continui nuovi aspetti della propria personalità. Personalità che è, dalla sua sorgente fino alla sua foce, un insieme di fiumi. Fiumi, frasi concatenate che prima o poi confluiscono. Confluenza con altre menti, tutte diverse ed affascinanti. Fascino per la vita. Vita come linea tra due poli di transizione, chiamata da noi “morte”. Morte come ultima curiosa circolare ignota Immagine.




La mia meta










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